Nuovo libro di don Francesco Mosetto
MARCO. Una lettura “canonica”
Tutta quanta la Scrittura è un unico strumento della musica di Dio, perfetto e armonico, che con suoni diversi produce un’unica voce salutare per quelli che vogliono apprenderla. (Origene, Filocalia, 6, 2)
PREFAZIONE
Due mani protese l’una verso l’altra, che quasi si sfiorano: quella di Dio e quella di Adamo. È facile riconoscervi un dettaglio degli affreschi della Cappella Sistina. Allargando il campo visivo, ammiriamo da un lato la figura potente del Creatore, lo sguardo fisso sugli occhi di Adamo, come per trasmettergli la propria «immagine e somiglianza». Di fronte a lui, sul suolo del paradiso terrestre, la figura del primo uomo, totalmente nudo. Quadro di sublime bellezza e forza espressiva, la creazione di Adamo è la quarta di nove scene, tratte dal libro della Genesi, che dalla separazione della luce dalle tenebre giungono all’ebbrezza di Noè.
Lo storico dell’arte ci aiuta a leggere l’affresco da diverse angolature. È importante conoscere la formazione di Michelangelo scultore e pittore; collocare il capolavoro della Sistina nella sua vicenda personale e in quella della Roma dei Papi; scoprire le caratteristiche della sua pittura… Di grande utilità sono pure altre indagini, sia di ordine scientifico, riguardanti per es. l’anatomia delle figure e la tecnica dell’affresco, sia letterarie e filosofiche, dal momento che Michelangelo è imbevuto della cultura del Rinascimento. La sua visione dell’uomo, radicalmente cristiana e aperta alla classicità, si esprime nell’esaltazione dei corpi ignudi, nei quali però si rivela l’interiorità spirituale.
Al di là del fatto artistico, ciò che maggiormente interessa è che la creazione e il peccato sono l’inizio di una storia, che nel grandioso progetto della Cappella Sistina prosegue con la vicenda di Israele e con quella di Cristo. La prima è evocata dalle “storie” di Mosè e Aronne sulla parete a sinistra, dalle figure dei Profeti nella volta e da quelle degli Antenati di Cristo nelle lunette; la seconda (per mano di vari artisti) è dipinta sulla parete di destra. Punto di arrivo della historia salutis raffigurata nella Sistina è la scena impressionante del Giudizio universale dipinta sulla parete dietro l’altare. L’episodio della creazione dell’uomo è dunque parte di un racconto che abbraccia la storia dell’umanità. Una lettura del riquadro che la isolasse dal tutto della narrazione pittorica sarebbe carente. Il semplice dettaglio della mano rimanda ad altre mani, raffigurate in atteggiamenti diversi: quella di Eva, che si stende verso il frutto, quelle dei profeti e delle sibille, in diversi atteggiamenti, quelle degli angeli con gli strumenti della Passione, quella di Cristo giudice che chiama gli eletti e respinge i reprobi.
La parabola del dipinto della Sistina si può applicare all’esegesi dei Vangeli, anzi dell’intera Bibbia. L’analisi filologica e storica del testo conduce diritto al suo messaggio teologico. Per coglierlo in modo corretto si ricorre ai classici strumenti dell’esegesi: si analizzano i singoli termini, si fa riferimento al contesto prossimo e remoto, si ricostruisce l’ambiente storico e se ne indagano le componenti culturali, si cerca di definire la personalità e l’intenzionalità dell’autore letterario, ecc. Anche grazie al confronto con la critica storica e letteraria e con le scienze della comunicazione, la metodologia esegetica segna continui progressi e ottiene sempre nuovi risultati. E, tuttavia, rimane imprescindibile l’attenzione al fatto che il singolo scritto – sia esso il libro dell’Esodo o l’esile racconto di Giona, il Vangelo di Giovanni o la stringata Lettera di Giacomo – è parte di una unica Bibbia. Anche il minimo dettaglio può rivestire un significato che supera quello che è dato scorgere di primo acchito.
I Padri della Chiesa non erano affatto sprovvisti sotto il profilo della critica storica e letteraria. Basti ricordare Origene e Gerolamo. La loro attenzione era però soprattutto rivolta alla dimensione religiosa dei testi biblici, alla loro portata teologica e all’impatto della Parola di Dio nella vita della comunità e dei singoli credenti. La loro esegesi si ispirava a un duplice convincimento: l’unità delle Scritture e la centralità del mistero di Cristo. Ciò consentiva loro di elevarsi dal senso letterario a quello spirituale, eventualmente articolato, al quale talora giungevano con procedimenti che oggi non sarebbero accetti, quale l’allegoria. Cionondimeno, la loro lezione rimane valida. Un’esegesi sempre più raffinata sotto il profilo metodologico rischia di non cogliere la ricchezza del testo biblico, di sciuparne la fecondità e di rimanere sterile, se non riscopre la irrinunciabile potenzialità che gli deriva dal fatto di appartenere a un discorso unitario che parte dalla Genesi e giunge all’Apocalisse. Le singole parole di questo discorso acquistano un significato più ricco e completo se ricondotte a quella parola che è il Verbo fatto carne.
Il commentario al Vangelo di Marco qui proposto vuol essere un tentativo di esegesi “canonica” (cf. Benedetto XVI, Esortazione apostolica “Verbum Domini”, n. 34) ispirato al modello patristico. Propriamente, tale esegesi non è svolta, ma soltanto suggerita mediante due appendici al commento vero e proprio, che segue il modello corrente: un breve testo patristico, la cui funzione è di illustrare in modo parziale ma concreto l’esegesi della grande Tradizione; un Excursus, che di volta in volta si sofferma su di un singolo tema, allo scopo di evidenziare le risonanze del testo nell’insieme delle Scritture. Al lettore il compito e l’auspicio di elaborare personalmente questi suggerimenti, così da poter cogliere i frutti di una lettura “canonica” del testo evangelico.
INTRODUZIONE
Leggere Marco nella “sinfonia” delle Scritture
Scopo specifico del presente commento al Vangelo di Marco è quello di portare l’attenzione del lettore sul fatto che esso appartiene al contesto globale della Bibbia, Antico e Nuovo Testamento. Con il progressivo concentrarsi del lavoro esegetico sul senso letterale dei testi e con l’affermazione del metodo storico-critico, che da oltre due secoli domina il campo degli studi biblici, si è andato smarrendo il senso dell’unità della Parola di Dio scritta. Benché rimanga imprescindibile per comprendere i testi biblici, il metodo storico-critico è diventato oggetto di forti riserve. Nello stesso tempo, si va rivalutando l’esegesi dei Padri della Chiesa, testimoni della sua più antica e autorevole tradizione, costantemente impegnati a indagare e illustrare il mistero che si cela sotto la lettera delle Scritture.
Vanno in questa direzione due autorevoli documenti del Magistero della Chiesa Cattolica: la Costituzione dogmatica “Dei Verbum” del Concilio ecumenico Vaticano II (1964) e l’Esortazione apostolica postsinodale “Verbum Domini” (2010) di Benedetto XVI. Merita qui riportarne due passi chiave:
Dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede. (Dei Verbum, n. 12).
Dovendo la Scrittura essere interpretata nello stesso Spirito nel quale è stata scritta, la Costituzione dogmatica indica tre criteri di base per tenere conto della dimensione divina della Bibbia: 1) interpretare il testo considerando l’unità di tutta la Scrittura; questo oggi si chiama esegesi canonica; 2) tenere presente la Tradizione viva di tutta la Chiesa; e, infine, 3) osservare l’analogia della fede. Solo dove i due livelli metodologici, quello storico-critico e quello teologico, sono osservati, si può parlare di una esegesi teologica – di una esegesi adeguata a questo Libro. (Verbum Domini, n. 34).
Nel seguito Papa Benedetto insiste sull’unità delle Scritture e sulla centralità di Cristo nella loro interpretazione:
Alla scuola della grande tradizione della Chiesa impariamo a cogliere nel passaggio dalla lettera allo spirito anche l’unità di tutta la Scrittura, poiché unica è la Parola di Dio che interpella la nostra vita chiamandola costantemente alla conversione. Rimangono per noi una guida sicura le espressioni di Ugo di San Vittore: “Tutta la divina Scrittura costituisce un unico libro e quest’unico libro è Cristo, parla di Cristo e trova in Cristo il suo compimento” (De arca Noe, 2, 8) […]. Nella prospettiva dell’unità delle Scritture in Cristo, è necessario sia per i teologi che per i Pastori essere consapevoli delle relazioni tra l’Antico e il Nuovo Testamento […]. Il Nuovo Testamento stesso si afferma conforme all’Antico e proclama che nel mistero della vita, morte e risurrezione di Cristo le sacre Scritture del popolo ebraico hanno trovato il loro perfetto adempimento. (Verbum Domini, nn. 39-40)
A queste indicazioni occorre aggiungere il positivo apprezzamento dell’approccio cosiddetto canonico da parte della Pontificia Commissione Biblica. Nel documento dal titolo: L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa Cattolica (1993) si legge infatti:
L’approccio canonico reagisce giustamente contro la valorizzazione esagerata di ciò che si suppone essere originale e primitivo, come se solo questo fosse autentico. La Scrittura ispirata è quella che la Chiesa ha riconosciuta come regola della propria fede. Si può insistere, a questo proposito, o sulla forma finale in cui si trova attualmente ciascuno dei libri, o sull’insieme che essi costituiscono come canone. Un libro diventa biblico solo alla luce dell’intero canone. (I. C. 1.).
Pur riconoscendone i limiti, il medesimo documento sottolinea altresì il valore esemplare della esegesi patristica:
I Padri insegnano a leggere teologicamente la Bibbia in seno a una Tradizione vivente con un autentico spirito cristiano. (III. B. 2)
I Padri considerano la Bibbia innanzi tutto come il Libro di Dio, opera unica di un autore. (III. B. 2.)
I primi interpreti della Scrittura, i Padri della Chiesa, pensavano che la loro esegesi dei testi fosse completa solo se ne facevano emergere il significato per i cristiani del loro tempo nella loro situazione. Si è fedeli all’intenzionalità dei testi biblici solo nella misura in cui si cerca di ritrovare, nel cuore della loro formulazione, la realtà di fede che essi esprimono e se si collega questa realtà con l’esperienza credente del nostro mondo. (II. A. 2.)
Questo commento
Ispirandosi a tali orientamenti, il presente commento intende condurre il lettore del Vangelo di Marco alla scoperta di un orizzonte più ampio, nel quale esso acquista una significatività più ricca e diventa suggestivo di molteplici attualizzazioni. Per ciascuna delle pericopi il commento si articola pertanto come segue:
1. Il testo del Vangelo nella traduzione della Conferenza Episcopale Italiana (2a edizione, 2008). Benché non sempre sia rigorosamente fedele al testo greco originale, si tratta di una traduzione affidabile e autorevole.
2. Un sobrio commento al testo, che ne evidenzia il senso immediato mediante gli strumenti classici della filologia. Volutamente, esso non affronta i problemi riguardanti il rapporto fra tradizione e redazione, il valore storico dei fatti narrati nei loro singoli dettagli e la rigorosa autenticità di ogni detto attribuito a Gesù. Queste problematiche sono lasciate ai commentari scientifici. Lo stesso vale per gli apporti della ricerca esegetica più recente, per esempio mediante l’analisi narratologica.
3. Un sintetico richiamo ai testi paralleli di Matteo e di Luca, eventualmente anche del Quarto Vangelo. Ciò consente di cogliere la molteplicità di letture dell’evento originario all’interno della stessa tradizione evangelica.
4. Un saggio dell’esegesi patristica. Il più sovente esso è tratto dai commenti di Gerolamo e di Beda il Venerabile, gli unici dedicati al Vangelo di Marco. Altre volte si ricorrerà ai commentari di Giovanni Crisostomo, Ambrogio e altri, nel presupposto che i Padri della Chiesa erano meno interessati alla singolarità di ciascuno dei Vangeli e più preoccupati di guidare uditori e lettori verso la totalità del loro messaggio. Questo momento ha soprattutto una funzione propedeutica rispetto a quello successivo.
5. Una esplorazione, in forma di excursus, delle risonanze del testo all’interno dell’intera Bibbia. In qualche misura ciò era anticipato nel commento diretto al testo: per esempio, allorché occorreva illustrarlo con rimandi al retroterra biblico veterotestamentario. Ora invece si cerca di aprire ulteriormente l’orizzonte, relativamente a un tema saliente del brano in questione. Questo per una duplice ragione:
a) la continuità e l’unità della Parola di Dio scritta, ossia della sua autorivelazione, quale è attestata nella Bibbia. Il senso ultimo delle Scritture dell’Antico Testamento si dispiega infatti nell’evento Cristo, al quale rendono testimonianza i Vangeli e gli altri libri del Nuovo Testamento. Per esempio, il dono del «pane dal cielo», ossia la manna, acquista il suo significato pieno nella persona di Gesù, vero «pane dal cielo», e nel segno del pane eucaristico, da lui consegnato alla Chiesa.
b) la coerenza e l’unità profonda tra tutti gli scritti canonici del Nuovo Testamento. Talora con linguaggio diverso, in ordine a contesti culturali e a situazioni differenti, essi dicono la stessa res e sono perciò complementari. A mo’ di esempio, il tema della sequela, che caratterizza il Vangelo di Marco, pare assente nelle lettere di san Paolo; ma, a ben vedere, quando l’apostolo raccomanda di imitare Cristo e diventare a lui conformi, parla in realtà della stessa cosa.
Ovviamente, non era possibile sviscerare a proposito dei singoli brani tutti e ciascuno dei temi che vi appaiono. Gli excursus si limitano a segnalare le risonanze più significative di uno di essi. L’indice alfabetico consente di rintracciare altri temi, presi in considerazione a proposito di altri brani del Vangelo.
In definitiva, senza pretendere di proporre una esegesi a tutto campo, nemmeno sotto il profilo di una lettura “canonica” del testo evangelico, si è cercato di sollecitare il lettore a scoprire la ricchezza di significato di un Vangelo che, per quanto singolare nella sua fisionomia e nel messaggio che gli è proprio, acquista una più ampia espressività nel grande contesto delle Scritture.