Il “mistero” dell’Ascensione di Gesù

Il “mistero” dell’ascensione di Gesù

Francesco Mosetto

La riflessione teologica sui “misteri della vita di Cristo”, iniziata con Origene e sviluppata dai Padri della Chiesa, i quali leggono i testi evangelici nella prospettiva della oikonomía, continua nella teologia medievale, soprattutto in quella monastica; ma «con il definitivo dissolversi della sintesi medievale… scompare dalle trattazioni di cristologia e diventa dominio praticamente esclusivo della pietà e della devozione».[1] Principale veicolo di trasmissione del tema rimane la Liturgia, che nella celebrazione delle feste cristiane fissa costantemente l’attenzione sui mysteria vitae Christi, illuminati da quelli principali (l’Incarnazione e la Pasqua) mai però totalmente assorbiti da essi.[2]

Il tema dei “misteri della vita di Cristo” è stato rilanciato dal Catechismo della Chiesa Cattolica (1992). Dopo aver ricordato che «tutta la vita di Gesù è rivelazione del Padre» (n. 516), «tutta la vita di Gesù è mistero di redenzione» (n. 517), «tutta la vita di Gesù è mistero di ricapitolazione» (n. 518; cf. Ireneo, Adv. Haer. 3,18,1), esso indica il triplice significato dei misteri della sua vita: a) «Cristo ha vissuto la sua vita… per noi»; b) «durante tutta la sua vita, Gesù si mostra come nostro modello»; c) «tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in Lui e che egli lo viva in noi» (nn. 519-521). Come le classiche trattazioni sistematiche, anche il CCC dà maggiore spazio ai misteri dell’incarnazione (art. 3 del cap. II della Parte prima), della morte (art. 4) e della risurrezione (art. 5).

Nel presente saggio ci proponiamo di illuminare il mistero dell’ascensione al cielo di Gesù a partire dai testi biblici (1.), in particolare quelli lucani (2.), attingendo altresì all’insegnamento dei Padri della Chiesa (3.), dei teologi e dei maestri di spiritualità (4.), così che il mistero celebrato nella Liturgia (5.) possa essere meglio compreso e vissuto dalla comunità dei credenti.

 

 1. L’esaltazione celeste di Cristo

Il N.T. non si limita ad affermare la risurrezione di Gesù come passaggio dalla condizione di “morto e sepolto” a quella di “vivente”. In diverse maniere esso integra il tema della risurrezione con affermazioni riguardanti l’esaltazione celeste (At 5,31; Fil 2,9) e l’intronizzazione alla destra di Dio (Mc 16,19; At 2,33s; 1Pt 3,21s; Col 3,1; Eb 1,3s), in forza della quale Cristo sottomette a sé le potenze celesti (Col 2,15; Ef 2,20-23; Eb 2,8s) e tutti i nemici, compresa la morte (1Cor 15,24-27). La glorificazione (Gv 7,39; 12,23; 17,1.3.24; 1Tm 3,16; Eb 2,9) segna il suo ingresso nella condizione propria come Cristo (At 2,36), Figlio di Dio (Rm 1,4) e Kyrios (Fil 2,9) rivestito di potenza (Mt 28,18s). Con esso ha inizio una nuova presenza in ordine alla salvezza degli uomini (Mt 28,20; At 4,12; 5,31; cf. Gv 12,32), che si manifesta anche nei “segni” compiuti nel suo nome (Mc 16,20; At 3,6.16; 4,7; Gv 14,12-14).[3] Secondo un’ermeneutica “canonica”,[4] dobbiamo pertanto leggere i testi lucani nel contesto totale degli scritti del N.T., ciascuno dei quali esprime il “mistero” secondo una propria modalità e da punti di vista complementari.

  

2. L’ascensione nei testi lucani

Dell’ascensione al cielo di Gesù risorto, una prima versione si legge nella finale del Vangelo di Luca: «Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio» (Lc 24,50-53). Due tratti concorrono a descrivere il movimento ascensionale: lo “staccarsi” o allontanarsi, come è detto di solito al termine delle apparizioni di personaggi celesti (cf. 1,38; 2,15; 9,33; At 10,7; 12,10); l’andare verso il cielo, il luogo cioè dove Dio abita, descritto come un essere “portato su” da Dio (anaférō): per sé, dunque, “assunzione”, piuttosto che “ascensione”. Il gesto benedicente di Gesù è ieratico (cf. Lv 9,22; Sir 50,20s): per mezzo degli apostoli la benedizione sarà portata ai figli di Abramo e a tutte le famiglie della terra (cf. At 3,25s).

Gli Undici reagiscono con l’adorazione, la gioia e la lode (v. 52): «si prostrarono davanti a lui», come davanti al Kýrios glorificato. Poi, «ritornarono a Gerusalemme con grande gioia», quella annunciata per la nascita del Salvatore (cf. 2,10) e pienamente fondata negli eventi pasquali, «…e stavano sempre nel tempio lodando Dio» per tutto ciò che egli ha compiuto in Gesù (cf. 7,16).[5]

Il proemio del libro degli Atti si riallaccia alla finale del Vangelo: «Nel primo racconto, o Teofilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo…» (At 1,1-2; verbo: analambánō). Il racconto vero e proprio conclude l’ultimo incontro di Gesù con gli Undici: «Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto (epaírō) e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava (poréuomai), quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo (analambánō), verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo (poréuomai)”» (At 1,9-11).[6]

Mentre nel Vangelo di Luca le apparizioni sono concentrate in una sola giornata e, a conclusione di tutto, Gesù ascende al cielo, secondo gli Atti esse si sarebbero protratte «per quaranta giorni» (At 1,2). Quaranta è cifra biblica, dal valore simbolico (cf. Nm 14,34; Es 34,28; 1Re 19,8; vedi anche Mt 4,2 par.). Qui si tratta del periodo fondante delle apparizioni, sulle quali poggia la testimonianza degli apostoli (cf. At 10,41). In realtà, fin dal momento della sua risurrezione Gesù non appartiene più a questo mondo, ma a quello di Dio, il «cielo» appunto (cf. At 3,21). Allorché si mostra agli uomini nel mondo di quaggiù, egli viene dal mondo “celeste” e, cessata l’apparizione, ad esso fa ritorno (benché, in realtà, non l’abbia abbandonato). Sia in Lc 24 sia in At 1, la descrizione del moto ascensionale al termine dell’apparizione traduce in linguaggio spaziale una realtà che trascende l’esperienza.

Nell’opera lucana il tema dell’assunzione o ascensione al cielo s’intreccia con quelli dell’innalzamento e dell’ingresso nella gloria. Quando introduce il cammino di Gesù verso Gerusalemme, l’evangelista scrive che «stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato “assunto”»: (Lc 9,51; verbo: analambánō; la CEI traduce: “elevato in alto”). I due personaggi apparsi accanto a Gesù nella trasfigurazione parlavano del «suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme» (Lc 9,31). Ai discepoli di Emmaus il Risorto spiega che, secondo le Scritture, «per entrare nella sua gloria» il Cristo avrebbe dovuto soffrire (Lc 24,26). Davanti al sinedrio, Gesù annuncia solennemente l’esito ultimo della sua vicenda terrena: «…d’ora in poi il Figlio dell’uomo siederà alla destra della potenza di Dio» (Lc 22,69).

Spiegando il prodigio della Pentecoste, Pietro afferma che Gesù risorto, «innalzato alla destra di Dio» (verbo: hypsóō), ha effuso lo Spirito promesso (At 2,33s). Di fronte al Sinedrio, l’apostolo afferma che Dio non solamente «ha risuscitato Gesù», ma «lo ha innalzato (hypsóō) alla sua destra come capo e salvatore» (At 5,30-31). All’attuale situazione “celeste” di Gesù allude l’affermazione: «Bisogna che il cielo lo accolga fino ai tempi della ricostituzione di tutte le cose» (At 3,21). Anche la «nube» teofanica, che sottrae agli sguardi dei discepoli il Cristo innalzato, rimanda alla sua condizione celeste.

La scena descritta in At 1,9-11 esprime pertanto un aspetto essenziale del mistero della risurrezione di Cristo: risorgendo, Gesù non solamente ha vinto la morte, ma è stato glorificato da Dio Padre, che lo «ha costituito Signore e Cristo» (2,36) intronizzandolo alla sua destra (2,32-35), rendendolo cioè partecipe della sua gloria e potenza. Come la finale del Vangelo, il racconto degli Atti, descrive plasticamente l’evento ispirandosi a modelli biblici (Gn 2,24: rapimento di Enoch; 2Re 2,11: assunzione di Elia) e giudaici (rapimento o assunzione di altri personaggi: Mosè, Baruch, Esdra…).  Più che una “ascensione”, ai vv. 9 e 11 la forma del verbo (aoristo passivo) suggerisce un rapimento o “assunzione”: il Risorto è portato in cielo da Dio. É bene notare che nel suo discorso Pietro l’afferma a partire dalle Scritture, come illazione, non in base a una esperienza diretta (cf. At 2,32-36).

L’intervento dell’angelus interpres indica il senso della scena. Oltre a manifestare che Gesù è «entrato nella sua gloria» (cf. Lc 24,46) ed è stato «innalzato alla destra di Dio» (At 2,32; cf. Sal 110,1), l’ascensione rimanda alla Parusìa: allora il Figlio dell’uomo verrà «allo stesso modo», «su una nube con potenza e gloria grande», per liberare gli eletti e instaurare il regno di Dio (Lc 21,27s.31; cf. At 3,21). Il tempo della Chiesa – che si estende dalla Pasqua alla Parusìa – è dunque il tempo della missione e della testimonianza; è anche il tempo dell’assenza del Signore, che tuttavia si rende presente mediante lo Spirito.

In sintesi, Luca «ha storicizzato il kerygma dell’elevazione (invisibile) di Gesù per inserirlo nel corso della storia». «Ricorrendo a un linguaggio ben noto nel suo tempo, egli ha voluto inculturare un aspetto del messaggio di Pasqua: il ritorno di Gesù in vita non deve essere compreso come una rianimazione, ma come un’associazione al potere di Dio, un accesso alla sfera celeste, da dove ritornerà alla parusia» (D. Marguerat).[7]        

 

3. I Padri della Chiesa sull’ascensione di Gesù

A partire dalla fine del II sec. il simbolo romano, poi apostolico, professa l’ascensione di Gesù come una delle verità fondamentali della fede cristiana: ascendit in caelos, sedet ad dexteram Patris (Dei Patris omnipotentis), «ove la sessio ad dexteram svolge un ruolo importante nell’interpretare l’ascensione» (H. G. Pöhlmann).[8]

Trattando dell’ascensione di Gesù, i Padri della Chiesa[9] illustrano il significato cristologico del mistero: l’umanità di Cristo è elevata alla condizione divina, e tuttavia egli rimane presente tra noi. Insieme, ne sottolineano la portata salvifica: in Cristo la nostra umanità è innalzata alle altezze celesti; egli ci ha preceduto e ci ha preparato la via. Indicano, infine, il messaggio spirituale che ne scaturisce: l’ascensione di Cristo è fondamento della nostra speranza. Merita riportare qualche saggio dell’esegesi patristica, che riecheggia nei testi liturgici.

«Dopo averli benedetti ed essere andato un poco avanti, egli fu portato nell’alto dei cieli così da poter condividere il trono del Padre anche con la carne che era a lui unita. Il Verbo ha fatto questa nuova strada per noi quando è apparso in forma umana. In seguito, nel tempo stabilito ritornerà nella gloria del Padre suo con gli angeli e ci porterà con sé» (Cirillo di Alessandria, Comm. al Vangelo di Luca, PG 72,950).

«Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con lui salga pure il nostro cuore. Ascoltiamo l’apostolo Paolo che proclama: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio. Pensate alle cose la lassù, non a quelle della terra” (Col 3,1-2). Come egli è asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso…» (Agostino, Discorso 263/A sull’ascensione del Signore).

«Come lo videro salire? Con la medesima carne che essi avevano toccato e palpato, in cui avevano perfino verificato, toccandole, le ferite, in quel corpo con cui per quaranta giorni era andato avanti e indietro insieme a loro, manifestandosi a loro realmente, non illusoriamente come un fantasma, un’ombra, uno spirito, ma, come egli stesso dichiarò, senza alcun inganno… [cf. Lc 24,39]. Senza dubbio quel corpo non soggetto alla morte né a invecchiamento, merita di abitare fin d’ora in cielo…» (Id., Commento al Vangelo di Giovanni 21, 13).

«C’era certo motivo di grande e indescrivibile gioia quando, al cospetto delle moltitudini celesti, la natura dei nostro genere umano ascese al di sopra della dignità di tutte le creature celesti. Essa passò oltre gli ordini degli angeli ed era destinata ad essere elevata oltre le altezze degli arcangeli. Nella sua ascensione, il nostro genere umano non si è fermato a nessun’altra altezza se non quando questa medesima natura è stata ricevuta alla presenza del Padre eterno. La nostra natura umana, unita alla divinità del Figlio, era sul trono della sua gloria. Poiché dunque l’ascensione di Cristo è la nostra elevazione, anche la speranza per il corpo è sollecitata là dove la nostra guida ci ha preceduti. Esultiamo, carissimi, con degna gioia e rallegriamoci con pia azione di grazie. Oggi non solo siamo costituiti come possessori del Paradiso, ma abbiamo anche penetrato le altezze dei cieli in Cristo…» (Leone Magno, Primo discorso sull’Ascensione del Signore, 4; cf. SC 74, 138s).

«Esultiamo dunque, carissimi, di spirituale letizia, godiamo in un degno ringraziamento elevando gli occhi dell’anima a quell’altezza a cui si trova Cristo. Le brame terrene non deprimano i nostri animi, chiamati lassù; le realtà mortali non distolgano i cuori, eletti ai beni eterni; i piaceri fallaci non attardino le menti entrate ormai nella vita della verità» (Id., Secondo discorso sull’Ascensione del Signore, 5; cf. SC 74, 142s).

«Per insegnare la fede nella sua risurrezione, il Signore appare più volte agli apostoli vivo dopo la passione […]. Ma con più profondo mistero (altiori mysterio) attraverso questa convivenza di quaranta giorni con i discepoli vuole significare che avrebbe adempiuto, restando nascostamente presente (occulta praesentia), ciò che aveva promesso: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Beda il Venerabile, Expositio Actuum Apostolorum, CCL CXXI, ad I, 3).

4. Teologi e autori spirituali

Dell’ascensione di Gesù hanno trattato i due grandi teologi medievali, Tommaso d’Aquino e Bonaventura di Bagnoregio. Mentre l’Aquinate applica al mistero le risorse del raziocinio (Summa Theologiae, III, Q. 57),[10] nei Sermones de tempore il dottore serafico, emulo del sommo poeta, trascina il suo uditorio fino all’empireo.[11] I due testi che riportiamo come esempio evidenziano il carattere insieme speculativo e mistico dell’esegesi medievale:

Licet praesentia corporalis Christi fuerit subtracta fidelibus per ascensionem, praesentia tamen divinitatis ipsius semper adest fidelibus; secundum quod ipse dicit (cf. Mt 28,20). […] Sed ipsa ascensio Christi in coelum, qua corporalem suam praesentiam nobis subtraxit, magis fuit utiis nobis quam praesentia corporalis fuisset. Primo quidem, propter fidei augmentum… […] Secundo, ad spei sublevationem… […] Tertio, ad erigendum caritatis affectum ad coelestia […]. (Q. 57, Art. I. Utrum fuerit conveniens Christum ascendere)

Dominnus noster Iesus ascendit hodie quantum ad corpus supra quindecim orbes corporeos et quantum ad animam iuxta quindecim vitas incorporeas. […] Ascendit enim corporaliter supra orbem terreum… orbem aereum… orbem igneum… orbem lunarem… orbem mercurialem… orbem venerialem… orbem solarem… orbem martialem… orbem iovialem… orbem saturnalem… orbem siderealem… orbem unigeneum… orbem christallinum… orbem empyreum… Ascendit vero quantum ad animam super vitam vegetabilium… vitam medialium… vitam sensibiium… vitam rationalium… vitam angelorum… vitam archangelorum… vitam principatuum… super vitam potestatum… vitam virtutum… vitam dominationum… vitam thronorum… vitam cherubim… vitam seraphim… vitam pacificae virginitatis Mariae… ad vitam deificae humanitatis sive beatificae rationalitatis consummatae salutis glorificationem. […] Hi enim sunt quindecim mystici gradus quibus ascendit in templum aeternum…. (Serm. 231 In ascensione Domini).

Nel meditare il mistero dell’ascensione, i teologi più vicini a noi nel tempo e nella sensibilità hanno messo in luce la sua ricchezza teologica e spirituale.

John Henry Newmann prende lo spunto dell’invito “Sursum corda” per esortare ad ascendere insieme al Salvatore con le ali dell’anima, per non essere assorbiti e dominati dal mondo:[12]

Io non voglio dire che un uomo il quale trascura i doveri di questo mondo possa essere religioso, ma che negli uomini religiosi c’è un vita più intima e più vera, al di là della vita e della conversazione che gli altri vedono, o, per esprimermi con le parole di San Paolo, «la loro vita è nascosta con Cristo in Dio». […] Cristo è asceso in alto, e noi dobbiamo salire con lui. È scomparso dalla vista, e noi dobbiamo seguirlo. È andato al Padre, e noi pure dobbiamo fare in modo che la nostra vita sia nascosta con Cristo in Dio. Questa è la promessa che egli fece nella preghiera che offrì al Padre per tutti i suoi discepoli, sino alla fine del mondo (Sermoni liturgici, p. 221). 

Nella XVI delle conferenze spirituali e liturgiche dedicate ai misteri di Cristo,[13] l’abate Columba Marmion commenta il testo giovanneo: «Padre, glorifica il Figlio tuo» (Gv 17,5).

Di tutte le feste di Nostro Signore oserei dire che, in un certo senso, l’Ascensione è la più grande, perché è la glorificazione suprema di Gesù Cristo. […] La vittoria della risurrezione ha segnato l’aurora di questa glorificazione personale di Gesù. […] La meravigliosa ascensione è il simbolo di un’ascensione ancora più ammirevole, benché per noi incomprensibile, della quale gli apostoli stessi non videro il termine: […] il trionfo accordato a Cristo nel santuario della divinità, la glorificazione della sua umanità e la potenza che il Padre gli comunica per governare, santificare e giudicare tutti gli uomini… (Cristo nei suoi misteri, pp. 267-285 passim).

Sviluppando la colletta della festa, l’abate Marmion indica la grazia specifica di questo mistero e suggerisce i sentimenti che la glorificazione di Gesù fa nascere in noi: una gioia profonda e una fiducia indomabile, anche in mezzo alle tristezze e alla prove della vita presente.

Romano Guardini vede nel cielo il simbolo della trascendenza del Dio santo, dove è la vita eterna. Con l’ascensione egli inizia una nuova presenza:[14]

«Egli è entrato nella eternità, nella più schietta realtà, in un pure ed eterno presente. È  entrato in un essere che è tutto amore, perché “Dio è l’amore” (1Gv 4,16). […] Il suo commiato per entrare nella perfezione della carità significa realmente un essere-presso-di-noi. […] Il Signore siede alla destra dei Padre, sottratto ad ogni mutare della storia, in un silente trionfo di vigilia destinato ad erompere un giorno nell’aperta vittoria dei giudizio che scuoterà il mondo. Nello stesso tempo egli è nuovamente presso a noi uomini: alla radice di ogni avvenimento: nei penetrali di ogni fedele: nel cuore del corpo credente che è la Chiesa: in funzione di forma, potenza, direzione e unità. Mentre egli abbandona lo spazio universale della storia, si edifica nello Spirito Santo il nuovo clima cristiano; la intimità dell’individuo che crede, e della Chiesa, vicendevolmente fusi nell’unità. Così “Cristo è con noi tutti i giorni sino alla fine del mondo” (Mt 28,20)» (Il Signore, p. 534).

Sulla scia del Marmion, il salesiano Joseph Aubry sottolinea che la festa dell’Ascensione celebra l’intronizzazione di Gesù risuscitato alla destra del Padre:[15]

Possessore della vita divina, egli la effonde nelle sue membra, e con ciò le santifica. […] Il Cristo risuscitato, asceso alla destra di Dio Padre, è ormai Signore dell’universo e della storia. […] È decisivo per la nostra fede che noi portiamo una visione meno imperfetta possibile del Cristo risuscitato e prendiamo l’abitudine di vederlo in tutto il suo splendore, nell’assoluto irradiamento della sua gloria, come ce ne offrono un esempio le rappresentazioni dell’arte bizantina. […] Il Cristo esercita questo potere regale direttamente nella Chiesa, in modo indiretto nel mondo. […] L’ascensione mette il Cristo in condizione di lanciare la sua Chiesa nel mondo e di costruirla progressivamente come il suo corpo vivente. […] Il Cristo risuscitato è il personaggio più intensamente presente al nostro mondo e alla nostra storia, il più vivente e il più attivo (I misteri di Gesù Salvatore, pp. 295-315 passim).

Osservando che nei testi neotestamentari l’ascensione fa tutt’uno con l’esaltazione di Cristo alla destra del Padre, Mario Serenthà sottolinea il significato teologico del racconto lucano:[16]

Risorgendo, Cristo è passato al Padre («siede alla destra del Padre»), e questo passaggio è, in sostanza la sua ascensione. Lo scenario cosmico N.T. deve essere inteso per quel che veramente vuole affermare: il Risorto è davvero il Signore, assiso nel regno di Dio e partecipante pienamente alla gloria del Padre. […] L’ascensione non è un nuovo mistero di Cristo, ma è un aspetto dell’avvenimento pasquale. […] Anche le apparizioni del Risorto, concluse appunto dall’ascensione, non hanno altro scopo che quello di chiarire ai discepoli il significato di ciò che a Pasqua è avvenuto. […] Il racconto dell’ascensione vuole appunto sottolineare che ora il tempo del contatto sensibile con Gesù è finito… si tratta di andare ad annunciare al mondo la buona novella… (Gesù Cristo ieri oggi e sempre, pp. 341-343).

Il Catechismo della Chiesa Cattolica presenta in forma sintetica diversi aspetti del mistero dell’ascensione di Gesù,[17] che considera avvenimento ad un tempo storico e trascendente (n. 660): esso costituisce l’entrata irreversibile della sua umanità nella gloria divina (n. 659) e l’inaugurazione del regno del Messia  (n. 664). L’ascensione di Gesù ci apre l’accesso alla casa del Padre:

Quest’ultima tappa rimane strettamente unita alla prima, cioè alla discesa dal cielo realizzata nell’incarnazione. Solo colui che è “uscito dal Padre” può fare ritorno Padre: Cristo. […] Lasciata alle sue forze naturali, l’umanità non ha accesso alla “casa dei Padre” (Gv 14,2), alla vita e alla felicità di Dio. Soltanto Cristo ha potuto aprire all’uomo questo accesso “per darci la serena fiducia che dove è lui, Capo e Primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gioia” (n. 661).

 

5. L’Ascensione nella Liturgia

La celebrazione dell’Ascensione del Signore, come festività distinta dalla Pasqua, inizia nel IV secolo.[18] In precedenza, essa era commemorata al termine della magna dominica, i 50 giorni delle feste pasquali. Inizialmente legata alla Pentecoste (cf. Egeria e Gerolamo), in seguito venne anticipata al 40° giorno (cf. Costituzioni Apostoliche, Crisostomo, ecc.). Determinanti per tale sviluppo, che portò a separare dalla Pasqua le feste dell’Ascensione e della Pentecoste, furono la progressiva storicizzazione della celebrazione pasquale, l’influsso del racconto lucano, l’importanza dei luoghi sacri nei quali si svolgevano i riti, il progresso della pneumatologia (cf. i Cappadoci); soprattutto, il venir meno dell’unità della celebrazione della Pasqua di Cristo.

L’attuale celebrazione della Solennità dell’Ascensione del Signore secondo il rito romano nasce dalla riforma dei libri liturgici (Messale, Lezionario e Liturgia delle ore), promossa dal Vaticano II.[19] La Liturgia eucaristica utilizza con sapienza i testi biblici che si riferiscono al mistero celebrato. In tutti e tre i cicli la prima lettura presenta il racconto degli Atti (At 1,1-11). Quanto al Vangelo nel ciclo C si legge il testo di Luca (Lc 24,46-43), nel ciclo B il parallelo di Marco (Mc 16,15-20, che s’ispira al racconto lucano), nel ciclo A la finale di Matteo (Mt 28,16-20). La seconda lettura suggerisce di volta in volta una prospettiva diversa: l’intronizzazione celeste del Messia (Ef 1,17-23: anno A); l’azione salvifica del Signore glorificato (Ef 4,1-13: anno B); la presenza celeste di Cristo sommo sacerdote (Eb 9,24-28; 10,19-23: anno C). L’identico salmo responsoriale (Sal 46) esprime in tutti e tre i cicli la gioia della Chiesa per il trionfo di Cristo.

A cominciare dal Prefazio, chiave ermeneutica della celebrazione, i testi eucologici attingono alla tradizione viva della Chiesa, specialmente alla riflessione patristica: «Il Signore Gesù, vincitore del peccato e della morte, è salito al cielo tra il coro festoso degli angeli… ci ha preceduti nella dimora eterna per darci la serena fiducia che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria…» (Prefazio I); «…salì al cielo, perché noi fossimo partecipi della sua vita divina…» (Prefazio II); «entrato una volta per sempre nel santuario dei cieli, egli intercede per noi, mediatore e garante della effusione dello Spirito. Pastore e vescovo delle nostre anime…» (  Prefazio dopo l’Ascensione). Rivolgendosi a Dio Padre, la Colletta sottolinea che «nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo nostro capo…». La preghiera dopo la comunione chiede a Dio che renda il suo popolo partecipe «della gloria del Cristo risorto». Costante è l’attenzione al significato “per noi” del mistero celebrato.

I testi biblici ripresi nella Liturgia delle Ore integrano egregiamente quelli della celebrazione eucaristica. Di essi, alcuni elevano alla contemplazione del Signore risorto, assiso alla destra del Padre, Figlio dell’uomo esaltato, sacerdote eterno, autore della salvezza e largitore dei doni (Eb 8,1b-3a; 10,12-14; 1Pt 3,18-22; Ap 1,17c-18). Altri sottolineano il significato dell’ascensione per la fede e la vita dei credenti (Col 3,1; Ef 2,4-6; 4,1-24). La seconda lettura dell’Ufficio delle letture è tratta da sant’Agostino: «Pur trovandosi lassù, Cristo rimane con noi, e noi, pur dimorando quaggiù, siamo già con lui…».

 

Conclusione

La traiettoria che dai testi biblici, attraverso l’esegesi patristica e la riflessione dei teologi, giunge alla celebrazione liturgica dell’ascensione di Cristo, dimostra l’urgenza di riscoprire il significato originario e il messaggio che scaturisce dal mistero celebrato. Tutt’altro che episodio secondario della cinquantina pasquale, appendice della risurrezione e preludio della Pentecoste, l’ascensione rappresenta l’elevazione di Gesù alla condizione di Kyrios, che esercita il suo potere salvifico a favore degli uomini e, in modo nuovo e dinamico, è presente nella Chiesa e nel mondo. Pegno del nostro accesso alla casa del Padre, l’ascensione di Gesù suscita nei credenti la tensione verso i beni celesti.

“Archivio Teologico Torinese” 20 (2014), n. 2, 365-366.



[1] M. Serenthà, Misteri di Cristo, in Aa.Vv., Dizionario Teologico Interdisciplinare. Supplemento, Marietti, Torino 1978, 9-24, qui p. 11. Vedi anche A. Grillmeyer, Considerazione storica sui misteri di Gesù in generale, in Aa. Vv., Mysterium salutis, vol. VI, Brescia 1972, 12-35, spec. pp. 24-27. Nella Summa di Tommaso d’Aquino già si coglie una netta separazione tra le questioni cristologiche riguardanti l’incarnazione del Verbo (III, q. 1-26) e la trattazione dei misteri di Cristo (III, q. 27-39). Mentre Francisco Suarez scrive ancora un’opera De mysteriis vitae Christi (1592), il manuale Theologia dogmatica et moralis di Natalis Alexander (3.a ediz., Venezia 1725), sulla falsariga del simbolo apostolico passa direttamente da “natus ex Maria virgine” al “passus sub Pontio Pilato”.

[2] Cf. M. Serenthà, Misteri di Cristo, cit., 10.

[3] Cf. A. Weiser, Himmelfahrt Christi – I. Neues Testament,  TRE (“Theologische Realenzyklopädie”), B. 15 (Berlin 1993), 330-334.

[4]Cf. Benedetto XVI, Esortazione Apostolica postsinodale “VerbumDomini(2010), n. 34.

[5]Cf. Lettura del Vangelo secondo Luca, LAS, Roma 22009, 416-418. Vedi inoltre: J.A. Fitzmyer, The Gospel according to St. Luke, vol. II, Doubleday, New York 1985, 1586-1593; L.T. Johnson, Il Vangelo di Luca (Sacra Pagina), Elledici, Leumann (Torino) 2004 (orig. ingl. 1991), 356-359.

[6]Cf. Lettura degli Atti degli Apostoli, Elledici, Leumann (Torino) 2009, 29-31. Vedi anche Ch. K. Barrett, Atti degli Apostoli, vol. I, Paideia, Brescia 2003 (orig. ingl. 21998), 111-115; D. Marguerat, Gli Atti degli Apostoli. 1 (1-12), EDB, Bologna 2011 (orig. franc. 2007), 49-56; R. Pesch, Atti degli Apostoli, Cittadella, Assisi 1992.22005 (orig. ted. 1986), 77-85; J. Roloff, Gli Atti degli Apostoli, Paideia, Brescia 2002 (orig. ted. 1981), 42-44 (Excursus); G. Schneider, Gli Atti degli Apostoli, Parte prima, Paideia, Brescia 1986 (orig. ted. 1982), 287-291 (Excursus).

[7]D. Marguerat, Gli Atti degli Apostoli. 1, cit., pp. 51 e 53.

[8] H. G. Pöhlmann, Himmelfahrt Christi – II. Kirchengeschichtlich, TRE, B. 15, 34-341; qui p. 335.

[9] Cf. A.A. Just – S. Petri – G. Taponecco (a cura di), Vangelo di Luca (La Bibbia commentata dai Padri. N.T. 3), Città Nuova, Roma 2006, 547-550;  F. Martin – E. Smith (a cura di), Atti degli Apostoli (La Bibbia commentata dai Padri. N.T. 5), ivi 2009, 39-40.

[10]Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, III, Q. 57: De ascensione Christi, Art. I. Utrum fuerit conveniens Christum ascendere; Art. II.Utrum ascendere in coelum conveniat Christo secundum naturam divinam; Art. III. Utrum Christus ascenderit propria virtute; Art. IV. Utrum Christus ascenderit super omnes coelos; Art. V. Utrum corpus Christi ascenderit super omnem creaturam spiritualem; Art. VI. Utrum ascensio Christi sit causa nostrae salutis. Vedi inoltre la Q. 58: De sessione Christi ad dexteram Patris. A differenza di Tommaso, il suo maestro Alberto Magno supera la concezione spaziale, affermando che sopra i cieli non est locus; il cielo non è altro che la stessa Trinità (De resurrect., tr. 2, q. 9, art. 3); cf. Pöhlmann, Himmelfahrt Christi, cit., 336.

[11] Bonaventura, Sermones de tempore, ed. Quaracchi, Grottaferrata 1988: S. 230 (Exivi a Patre et veni in mundum, iterum relinquo mundum et vado ad Patrem); S. 231, In ascensione Domini: “Nemo ascendit in coelum nisi qui de coelo descendit Filius hominis” (Io. 3); S. 232 (Qui descendit ipse est et qui ascendit super omnes coelos ut impleret omnia); S. 233 (Qui aedificavit in coelo ascensionem suam…); S. 234 (Dominus in coelo paravit sedem suam et regnum ipsius omnibus dominabitur). Citazione: pp. 316-318.

[12] J.H. Newmann, Sermoni liturgici, a cura di G. Velocci, Esperienze, Fossano 1971 (orig. ingl.: Parochial and Plain Sermons, London 1969-1970).

[13] C. Marmion, Cristo nei suoi misteri. Conferenze spirituali e liturgiche, Marietti, Torino 111967 (orig. franc. 1923).

[14] R. Guardini, Il Signore. Meditazioni sulla persona e la vita di N. S. Gesù Cristo, Vita e pensiero, Milano 51964 (orig. ted. 1937).      Vedi anche Benedetto XVI: «Il Gesù che si congeda non va da qualche parte in un astro lontano. Egli entra nella comunione di vita e di potere con il Dio vivente […]; non è “andato via”, ma in virtù dello stesso potere di Dio è ora sempre presente accanto a noi e per noi» (Gesù di Nazaret, II, 314).

[15] J. Aubry, I misteri di Gesù Salvatore, Ancora, Milano 1962 (orig. franc. 1961).

[16] M. Serenthà, Gesù Cristo ieri oggi e sempre, Elledici, Leumann (Torino) 41996.

[17] Catechismo della Chiesa Cattolica, p. I (Credo), c. II (Credo in Gesù Cristo), art. 6: «Salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente» (nn. 659-667).

[18] Cf. H.-Chr. Schmidt-Lauber, Himmelfahrtfest, TRE (Theologische Realenzyklopädie), B. 15 (Berlin 1993), 341-344.

[19] Cf. D. Borobio (ed.), La celebrazione nella Chiesa, 3. Ritmi e tempi della celebrazione, Elledici, Leumann (Torino) 1994 (orig. spagn. 1990), 145-151; S. Rosso, Il segno del tempo nella Liturgia. Anno liturgico e Liturgia delle ore, Elledici, Leumann (Torino) 2002, 273s.

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